Racconto breve di Gipo Farassino: IL TOSCANO

Fumo il sigaro non so neanch’io il perché; per la verità lo so benissimo.

Fumo il sigaro, ma non uno di quelli nobili: Coiba (li fuma Fidel Castro), i Montecristo, i Julieta & Romeo, per non parlare di quelli che fumava la buonanima di Churcill, che erano fabbricati espressamente per lui ed erano una specie di siluri lunghi 30 centimetri con un diametro di 5, sempre centimetri.

Fumo il Toscano, che è il sigaro più impestato, quello che provoca smorfie di disgusto alle ambientaliste d’assalto, anche al solo vederlo, anche se è spento: Basta la vista! Non ci crederete, ma io fumo il Toscano… Per non fumare! Bel paradosso.

Ho fumato la pipa per trent’anni e credetemi è il più bel fumare del mondo; ma un brutto giorno dopo un intervento chirurgico di sei ore per un by-pass all’aorta, Giancarlo che oltre che essere il mio cardiologo è anche e soprattutto un mio amico di quelli “sempre più cari, sempre più rari” mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha chiesto: “Quanta voglia hai di crepare?” Rispondo: “Nessuna; non tanto per paura ma perché non ho tempo. Ho ancora qualche progetto da portare a termine.” “Allora devi smettere di fumare!” Ingenuamente dico: ”Guarda che io fumo la pipa, fa meno male…” Mi guarda serio: “Non pigliarmi per il culo. Non è la pipa che fa male, è il fumo!” Lapalissiano.

“Se proprio non puoi rinunciare ad essere Il Bastiancontrari che sei, prova con un mezzo toscano: sono sempre spenti, irrespirabili, ma tenendolo fra le labbra un tantino di nicotina la puoi assorbire dalle papille della lingua; potrebbe essere un buon compromesso” Aveva ragione. Il toscano, se inavvertitamente ne respiri una boccata ha lo stesso effetto di una legnata sul cranio, per questo è consigliabile veramente a tutti coloro che vogliono smettere di fumare, salvando la faccia. Della storia del Toscano conosco poco o niente, non ho mai letto libri, partecipato a conferenze e cose simili; anche perché non m’importa un fico secco. Un vulgato popolare fa risalire la nascita del Toscano ad una distrazione delle operaie delle Manifatture Tabacchi di Stato il leggendario Chinin: Per arrotolare in modo conveniente spezzature di tabacco in un’unica foglia che costituisce il prodotto finito, ovverosia il sigaro, foglie e spezzature venivano inumidite e dopo la fabbricazione erano poste ad asciugare su grandi tavole di legno.

Una notte un gran temporale, cadde su Torino e quasi allagò i locali di essiccazione delle Manifatture Tabacchi, causa i finestroni dimenticati aperti dalle maestranze. Il mattino seguente, constatato il disastro la Direzione decise di mandare al macero la quantità di sigari inzuppati d’acqua, ma le operaie, in segno di solidarietà si offersero di provvedere, esse stesse, allo sgombero portandosi via una borsata di sigari a testa, terminato il loro turno di lavoro. Quei sigari non furono, ovviamente, gettati nella spazzatura ma fatti asciugare su ogni superficie possibile e consumati dagli uomini della famiglia: dissero che erano ottimi; naturale, per uomini duri di norma operai, manovali, muratori, imbianchini avvezzi a sorseggiare grappa già dal mattino per contrastare il freddo di lavori all’aperto, le sigarette anche le più forti alle loro bocche parevano camomilla; respirare quei sigari, invece dava loro l’impressione d’ingoiare polvere da sparo, li tenevano svegli. Le donne in fabbrica riferirono i commenti entusiasti dei loro uomini, che parvero ai dirigenti una modesta ma attendibilissima indagine di mercato. Forse fu questo accidentale elemento che convinse il Monopolio di Stato a mercizzare il Toscano, dopo un’accurata, abbondante bagnatura e conseguente essiccatura.

Se la storia non è questa, ribadisco che non m’importa un fico secco. Mi riaccendo il mio spento mozzicone di Toscano e me ne sbatto di tutto e di tutti.

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